Tutti i viaggi iniziano con l’idea di una meta. Ci sono viaggiatori che sanno esattamente dove arrivare e hanno immaginato nel dettaglio ogni singolo elemento di quel luogo e di quell’esperienza. Sentono già i sapori in bocca, hanno i colori negli occhi. Ci sono quelli che non pensano ad una meta precisa, è sufficiente che metta un tocco di speziato nella routine. Per ultimo ci sono quelli che arrivano al banco dell’aeroporto e prendono il primo volo. Quelli stanchi dell’odore stantio delle quattro mura in cui sono rinchiusi. Quelli che non stanno bene dove sono e hanno messo tutto in una valigia piccola: quando si cambia pelle non serve portarsi dietro chissà che.
Viaggi “veri” in questo periodo se ne fanno pochi, ma è un viaggio anche il percorso di chi decide di potenziare competenze, ridisegnare obiettivi, ripensare strategie per aumentare la gratificazione o “cambiare aria” cercando un nuovo contesto lavorativo.
Ma perché una generale proposta di coaching non intercetta né soddisfa questi “viaggiatori professionali”?
Partiamo dalla teoria. Whitmore sostiene che “Coaching vuol dire liberare il potenziale di una persona per massimizzare la sua performance. Significa aiutare le persone ad apprendere piuttosto che insegnare, è un approccio facilitante” le cui parole chiave sono fiducia, consapevolezza, assunzione di responsabilità.
Il volantino della società di Coaching potrebbe quindi riportare questo elenco di mete:
Ma oggi l’instabilità professionale, le incertezze che abitiamo quotidianamente nei vari contesti di lavoro, i desideri e il “bisogno di nuova normalità” -qualunque scenario questa preveda nella sua imprevedibilità- non consentono di stabilire coordinate chiare per le destinazioni.
Da marzo 2020 ad oggi abbiamo visto cadere i punti di riferimento e le abitudini, scombussolando tutti quelli che fondavano il proprio quotidiano professionale nell’abbiamo sempre fatto così. È rimasto tangibile un velo di urgenza. Non si può più rimandare il proprio sito, il proprio logo, il profilo LinkedIn scarno, e così via.
Queste sensazioni si sono insinuate a mascherare i timori legati al fronteggiamento di una situazione nuova e potenzialmente “pericolosa” come è stata la recente esperienza pandemica.
L’altra reazione diffusa è stata un aumento di alcune “credenze”:
Insomma non sono aumentate le esplicite richieste di career coaching, eppure… Molte attività intraprese hanno avuto questa come domanda implicita, sotto la coltre di altro. E non bastavano i percorsi “ortodossi”, dal nostro vertice di osservazione l’urgenza era quella di aiutare le persone a “sbloccare” il proprio potenziale professionale attraverso un connubio di coaching e pensiero divergente, attraverso Storytelling e LEGO® SERIOUS PLAY®.
Le strade non sono diverse, i modi (in presenza o attraverso uno schermo) pure, gli obiettivi e le mete si somigliano. Siamo noi che siamo cambiati. E con Step Up abbiamo tracciato un nuovo modo per goderci il viaggio, per accompagnare chi ha bisogno di ridisegnare il proprio cambiamento. Poiché, in sintesi, ogni percorso evolutivo è un percorso di cambiamento e va allenato, con la competenza all’antifragilità, esprimendo pensiero laterale, creatività e leggerezza.